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Sistema di emergenza territoriale. Non basta “arrivare in tempo”, serve anche arrivare con il mezzo giusto

22 Giugno

Il sistema di emergenza territoriale rappresenta uno dei primi baluardi del servizio sanitario pubblico e, in Emilia-Romagna, ha radici profonde, precedenti persino all’emanazione del DPR del 27 marzo 1992. È dalla strage della stazione di Bologna che nasce l’esigenza concreta di strutturare i soccorsi in modo coordinato, professionale e clinicamente efficace.

Un sistema di emergenza degno di questo nome deve garantire due principi fondamentali: il rispetto dei tempi di intervento, ovvero 8 minuti in ambito urbano e 20 minuti in ambito extraurbano, come definiti dal Comunicato relativo al decreto del Presidente della Repubblica del 27 marzo 1992, recante atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza (GU n.126 del 30-5-1992) e dalla DGR 1349/2003; e la coerenza tra la gravità presunta dell’evento e le capacità del mezzo di soccorso inviato.

Sulla stampa oggi si assiste a una deriva preoccupante, una sorta di “accontentatevi, siamo il meno peggio”, ma la matematica non torna né nei tempi né nella tipologia dei mezzi di soccorso. Il tempo di arrivo non basta, se il mezzo che arriva non è in grado di valutare ed erogare tutti i trattamenti necessari ed appropriati.

La stessa Regione Emilia-Romagna ha introdotto il modello misto ambulanza più automedica proprio per poter modulare l’intervento e garantire, anche in caso di sottostima telefonica, un potenziamento della risposta clinico-assistenziale. Questo è il senso profondo del modello evoluto di soccorso avanzato: equipe complete, composte da medico e infermiere, in grado di operare in sinergia per stabilizzare i pazienti gravi, avviare terapie salvavita già in fase preospedaliera e facilitare un corretto percorso diagnostico-terapeutico verso l’ospedale appropriato, non necessariamente quello più vicino.

Questo non è un lusso, ma è quanto previsto dalla normativa vigente e supportato dalla letteratura scientifica internazionale. Il Decreto Ministeriale 70/2015 — lo stesso per il quale la Regione Emilia-Romagna ha inteso scrivere nella Delibera di Recepimento che non intendeva “calare rigidamente i parametri dei mezzi di soccorso avanzato” — indica chiaramente che ogni 60.000 abitanti e ogni 350 km² di territorio, su base regionale e salvo correttivi orogeografici, deve essere previsto un mezzo di soccorso avanzato (MSA), e sappiamo bene, dai medici e dagli infermieri, che per erogare prestazioni “advanced” servono equipe complete, con medico e infermiere a bordo, come avviene in ospedale.

Applicando questi criteri alla popolazione e alla superficie regionale, servirebbero circa 75 mezzi MSA, dotati di una vera equipe “advanced”. Invece, oggi ne risulterebbero attivi poco più di 40. Questo squilibrio compromette l’equità di accesso alle cure per i cittadini, la capacità del sistema di rispondere efficacemente a eventi gravi e maxi-emergenze, e la sostenibilità del sistema stesso, che viene rattoppato con soluzioni transitorie e non strutturali.

La Regione Emilia-Romagna, che spesso si propone come modello nazionale, non può accettare che l’eccellenza venga sostituita dall’arrangiamento. Serve un investimento strutturale nella rete del soccorso: in qualità clinica e in quantità di risorse.

Un sistema che si basa solo sugli indicatori numerici ma ignora i contenuti clinico-assistenziali rischia di diventare una statistica vuota. Qualità della risposta e tempestività devono camminare insieme. Senza una rete omogenea, non esiste equità, non esiste sicurezza, non esiste servizio pubblico degno di questo nome.

 

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