I cittadini dovrebbero essere difesi dalle istituzioni e non “difendersi” dalle istituzioni. Un esempio? Il progetto di legge sugli affitti brevi che oggi è stato approvato in Commissione Territorio e che presto sarà votato anche in Assemblea Legislativa. L’obiettivo dichiarato è regolamentare gli affitti brevi, in realtà si tratta di una legge che ostacola tanti piccoli proprietari che, in modo legittimo, seguendo le norme nazionali ed essendo iscritti al CIN (il Codice identificativo nazionale), decidono di utilizzare un proprio immobile per locazioni brevi.
L’emergenza abitativa in Emilia-Romagna riguarda giovani, anziani, lavoratori e studenti. E stupisce che il primo intervento della nuova Giunta sul tema della casa sia una norma pensata “contro” qualcuno, anziché “per” qualcuno.
La proposta di legge regionale introduce una nuova disciplina urbanistico-edilizia per gli immobili destinati alle locazioni brevi, con l’obiettivo dichiarato di gestire un fenomeno in forte crescita e dal forte impatto su residenzialità, turismo e mercato immobiliare. La Regione, in questo modo, intende fornire ai Comuni strumenti facoltativi per regolare dove e come le locazioni brevi possono insediarsi: aree in cui ammetterle, limitarle o vietarle, requisiti minimi degli immobili, contributi urbanistici modulati e possibili limiti quantitativi, soprattutto nei centri storici più saturi.
Questa legge non è la soluzione all’emergenza abitativa. Lo ha dichiarato persino l’assessore Paglia qualche settimana fa all’udienza conoscitiva a cui hanno partecipato le associazioni di categoria. E perché allora se ne parla nell’introduzione alla legge e la relatrice di maggioranza ne ha sempre parlato in ogni occasione? Perché la stessa relatrice, in un video pubblicato sui suoi canali social, afferma che questa norma dovrebbe servire ad ampliare il mercato degli affitti lunghi, arrivando ad affermare: “Non possiamo mettere un tetto al prezzo degli affitti brevi, purtroppo, non possiamo espropriare”? Le due versioni non stanno insieme.
Che non basti restringere gli affitti brevi per fronteggiare l’emergenza abitativa lo si capisce anche dai numeri. Prendendo per esempio una città dove il fenomeno è più rilevante, ovvero Bologna, nel 2024 gli alloggi iscritti al CIN, che possono fare affitti brevi, sono 4.374. In città sono 230.000 le unità immobiliari residenziali. Quindi sul totale gli affitti brevi pesano meno del 2%, a fronte di circa 15.000 appartamenti sfitti.
È evidente che intervenire in modo punitivo sugli affitti brevi non risolve il problema delle migliaia di case vuote, né quello, totalmente escluso dal dibattito, delle case popolari non disponibili perché in questi anni non sono state ristrutturate e dunque non sono assegnabili.
Il progetto di legge prevedeva la retroattività (art. 13, c. 3) anche sulla parte dimensionale, fissando termini perentori di adeguamento non inferiori a tre anni, ma già dalla prima sessione di audizioni, davanti alle obiezioni sollevate dai cittadini, l’assessore Paglia aveva rassicurato tutti dicendo che, come prevede la norma nazionale, una legge non può chiedere di fare ciò che è impossibile, negando già da subito, a parole, ciò che è scritto in modo così esplicito nel testo. Perché proporre una legge e smentirla subito in uno dei punti fondamentali?
Questa posizione così contraddittoria è emersa anche nella Commissione di questa mattina, in cui la maggioranza ha presentato numerosi emendamenti, molti dei quali sostanziali. È stata fatta marcia indietro sulla retroattività e si è cercato di risolvere la confusione generata tra “destinazione d’uso” e “destinazione urbanistica” per gli affitti brevi. Una vera modifica della destinazione d’uso avrebbe infatti comportato anche un cambiamento catastale, di fatto inapplicabile. Ma come si può scrivere una legge con così tante criticità?
E non finisce qui. Con l’emendamento n. 57, a firma Larghetti, la maggioranza torna sui suoi passi affermando che dimensioni, standard di qualità e dotazioni territoriali e pertinenziali non saranno retroattivi, prevedendo però che, nel momento in cui un proprietario volesse effettuare interventi diversi dalla manutenzione ordinaria e dalle opere di adeguamento ai requisiti imposti dalla legge, scatterebbe di nuovo la retroattività.
Peccato poi che la maggioranza non abbia accolto l’emendamento n. 16, a firma dei colleghi Sassone ed Evangelisti. Un segnale di chiusura e di scarsa attenzione verso studenti, persone fragili e lavoratori. L’emendamento, infatti, avrebbe cancellato il limite temporale (pari o inferiore a 60 giorni) che le realtà come gli studentati, le residenze per persone con disabilità, per anziani, per dipendenti di aziende o membri di associazioni, le residenze temporanee per persone in difficoltà e le comunità religiose devono rispettare per poter essere escluse dalla disciplina sugli affitti brevi. Con l’emendamento avrebbero costituito un’eccezione anche le unità immobiliari di proprietà o nella disponibilità di imprese, enti o società, concesse in uso ai propri lavoratori, collaboratori o dipendenti, anche turnisti o stagionali, per esigenze abitative connesse allo svolgimento dell’attività lavorativa, indipendentemente dalla durata della permanenza e dal numero complessivo dei giorni di utilizzo nell’anno solare.
Le domande che dovremmo farci sarebbero altre: come rendere più attrattivo e sicuro l’affitto tradizionale per chi ha una proprietà? In che modo favorire davvero la rigenerazione urbana, per immettere sul mercato abitazioni con canoni sostenibili?